Ci sono molte differenze tra fotografo e filmmaker, come la capacità di immortalare l’attimo e quella di curare i dettagli nella costruzione di un video.
Ho iniziato nel 1979, ero entrato come assistente al reparto fotografico del centro stampa ENI e mi sono appassionato alla fotografia.
Inizialmente seguivo i fotografi più esperti nelle trasferte in cui si fotografavano e filmavano gli impianti industriali in Italia e all’estero.
La mia passione per la musica – suono il basso elettrico da quando avevo 15 anni – mi ha portato ad andar per concerti a Milano, fotografando i gruppi e gli artisti musicisti che si esibivano negli anni ’80: la mia prima foto ufficiale da fotografo è stata scattata il 24 giugno 1980 allo stadio San Siro e immortalava Bob Marley….un’emozione grandissima.
Parlando più concretamente, è indubbio che tra reportage e ritratto ci siano delle differenze di tempistica ma in entrambi cogliere l’attimo è fondamentale.
Nell’ambito dell’industria le inquadrature sono fondamentali e la luce ambiente, nell’esecuzione delle panoramiche, lo è ancora di più. Infatti, non sempre puoi aggiungere tu la luce, quindi aspettare il momento giusto per scattare è obbligatorio; questo è una cosa che accomuna la fotografia industriale a quella paesaggistica.
Anche creare del movimento è importante nella fotografia industriale e ciò si ottiene tramite il mosso, il fuoco, il dinamismo delle persone e molto altro.
Le fasi per realizzare un filmato sono più o meno le stesse necessarie per creare un servizio fotografico, con l’aggiunta della musica e del montaggio, ciò che fa davvero la differenza: puoi realizzare bellissime riprese, ma se le monti in modo superficiale, senza ritmo, puoi rovinare tutto il lavoro finale.
Per quanto riguarda il cinema, soprattutto quando è indipendente, la differenza è che il filmmaker non possiede i mezzi che una normale produzione cinematografica ha, ma deve fare tutto da solo, rinunciando così a realizzare film troppo complessi. Perciò in tali situazioni il filmmaker deve tenere conto dei suoi limiti tecnici e sviluppare la sua fantasia in modo più semplice.
Per quanto riguarda la fotografia, nei miei reportage mi sono sempre ispirato a Salgado su tutti ma anche alle fotografie di National Geographic, mitica rivista che ho imparato a conoscere dalla fine degli anni ’70.
A me piacciono le cose semplici ed essenziali: trasmettere, realizzare qualche cosa in questo modo, pulito, senza troppi effetti e ricerche complesse, mi permette di cogliere nella vita di tutti giorni quello che abbiamo davanti agli occhi ma non sempre riusciamo a vedere.