Marco Raffagnini ha 35 anni, è nato a Bolzano ed è un fisioterapista specializzato in riabilitazione dei disordini muscoloscheletrici e fisioterapia sportiva (avendo conseguito il master di I livello, il primo a Savona ed il secondo a Siena).
Si occupa di riabilitazione in ambito ortopedico e di formazione universitaria di base (di cui è docente a contratto dell’università di Ferrara e Sacro Cuore di Roma da alcuni anni).
Per garantire il meglio di ciò che c’è da offrire nel suo settore, Marco ha rilevato la struttura con cui ha collaborato per molto tempo, riuscendo a costruire un team giovane, composto da professionisti e appassionati alla fisioterapia, con la voglia di crescere attenendosi all’evoluzione e alle evidenze scientifiche moderne.
Lo studio MR Physio SRL di Marco, è composto da 4 figure: lui, Veronica Mihelcic, Martino Grandesso e Klemens Folie. Tra i servizi proposti vi sono: riabilitazione ortopedica e traumatologica, sportiva, reumatologica e parzialmente anche dell’ambito pediatrico e neurologico.
L’amore per questo lavoro, motiva Marco a fare sempre meglio: ha sempre desiderato lavorare nell’ambito sanitario, tematica che gli ha permesso di scoprire ed estendere gli orizzonti.
Sarebbe limitativo proporre una visita di soli 15 o 20 minuti. Piuttosto meglio farne una da 60, estrapolare ogni informazione del cliente, pianificare gli obiettivi e comprendere le necessità.
La sua impostazione si basa su un percorso ben studiato e che soddisfi le reali esigenze del paziente. Per Marco non avrebbe senso applicare un trattamento una tantum, senza ottenere alcun risultato.
La vera soddisfazione e gratificazione per Marco, è vedere i suoi pazienti a distanza di tempo ed osservare i miglioramenti che ne hanno tratto grazie ai percorsi studiati per loro.
Un esempio? Ex pazienti sportivi che prima di completare il percorso avevano problemi e impossibilità di praticare la loro attività, successivamente risolti con Marco.
Secondo Marco sarebbe molto complesso specificare in che modo le tecnologie intelligenti possano regale vantaggi alla fisioterapia. Probabilmente è ancora troppo presto per ipotizzarlo, anche se si stanno conducendo in diverse realtà studi su prototipi – prevalentemente per la riabilitazione delle patologie neurologiche e neurodegenerative.
Marco ci spiega che innanzitutto, il concetto di postura scorretta è ormai sorpassato. Tali certezze si sono concretizzate nel tempo: ogni individuo, in quanto tale, ha delle caratteristiche fisiche particolari e delle proporzioni tra segmenti corporei che variano.
Ad esempio, varia anche la forza e la resistenza dei singoli muscoli, che si lasciano influenzare dal grado di utilizzo e di abitudine alle attività in cui sono coinvolti. Non esistono quindi indicazioni che possano essere valide per chiunque, ma alcuni principi che sono assolutamente validi esistono.
Il primo è di cercare frequentemente la varietà, la ricchezza di posture, posizioni ed attività, in modo tale che tutte le strutture vengano coinvolte e sollecitate, senza che nessuna di esse si trovi ad avere a che fare con un carico superiore a quello che può tollerare.
Il secondo è il discomfort. Quando si accenna al dolore, si collega automaticamente il termine “nemici”.
In verità, vanno interpretati come segnali che il nostro corpo ci invia e che devono spingerci a mutare il prima possibile, anche solo parzialmente, alcune delle nostre abitudini.
Si tratta di spie che non vanno ignorate troppo a lungo: se in una posizione ci troviamo scomodi, significa semplicemente che è ora di cambiarla.
È un po’ come la spia della riserva del serbatoio: quando si accende sappiamo di poter procedere ancora qualche chilometro senza difficoltà, ma se la ignorassimo troppo a lungo, finiremo per ritrovarci piantati.
Esistono diverse modalità oltre a quella potentissima dell’esercizio fisico e dell’attività aerobica, per curare i dolori articolari. Una delle più semplici e maggiormente utilizzate in contesto fisioterapico è la mobilizzazione articolare passiva o passivo-assistita.
Durante questo tipo di attività, che di solito è di warm up (cioè riscaldamento, preliminare ad altre ad impatto più alto e di complessità maggiore), il terapista impugna con presa sicura ma gradevole i due segmenti ossei che costituiscono l’articolazione dolente ed inizia a creare un movimento reciproco di ampiezza crescente.
Può utilizzare anche movimenti combinati di trazione, compressione o scivolamento, con l’obiettivo di adattarsi perfettamente al movimento tipico di quell’articolazione ed incrementarne l’ampiezza, con un livello di comfort e fiducia progressivamente più elevato.
Marco consiglierebbe l’utilizzo della tecarterapia principalmente a chi si trova ad affrontare un infortunio acuto e comunque solo in combinazione con un trattamento fisioterapico/riabilitativo vero e proprio. L’utilizzo di questo tipo di approccio strumentale è apprezzabile solo se viene inserito come adiuvante in un contesto più complesso.
Dev’essere svolto in maniera tale da desensibilizzare la zona e ridurre la percezione del dolore in preparazione a trattamenti specifici ed attivi, gli unici in grado di mostrare cambiamenti e generare miglioramenti consistenti e stabili sul medio e lungo periodo.
Al di fuori di questo suo utilizzo, ci dicono le pubblicazioni al momento disponibili, che la sua efficacia è pari quasi a quella della borsa dell’acqua calda.